Hai saputo della gang dei trentenni? Sono un gruppo di ragazzi che sono stati sputati fuori dal mondo reale come una gomma da masticare!
Gilmore Girls, A year in the life: Summer
Appena sono uscite su Netflix, ho guardato le quattro le puntate della serie di Gilmore Girls, A year in the life. A parte l’ovvio shock del finale, ciò che mi ha colpito maggiormente è la crudezza, seppur mitigata dall’aver caricaturato il problema, dell’analisi della situazione dei trentenni d’oggi.
Rory ne è l’emblema, da studentessa brillante e piena di potenzialità, si è trasformata in donna dalla non-carriera, piena di dubbi, che inanella un fallimento dopo l’altro, risucchiata in un mondo dove le idee e il duro lavoro contano meno di zero.
Mi ci sono rispecchiata in toto. Naturalmente solo per la parte che concerne l’ambito lavorativo, perché per fortuna dal punto di vista affettivo ho una famiglia meravigliosa: un marito incredibile e una figlia altrettanto fantastica. Potrei e probabilmente dovrei essere felice di ciò che sono, moglie e madre, e non dico di non esserlo, ma spesso mi chiedo se tutto questo mi basti o se manchi ancora un tassello nel mosaico.
Perché non è una mia scelta l’essere “solo” moglie e madre. E’ ciò che questa società mi ha obbligato ad essere.
Due lauree con lode conseguite facendo in contemporanea i lavori più assurdi. L’iscrizione all’albo dei giornalisti ottenuta con sacrificio, dando disponibilità totale alla mia redazione, rimettendoci economicamente, sacrificando i giorni festivi e tutti i sabati sera. Esperienza sul campo accettando contratti svilenti e ingoiando rospi su rospi perché in questo mestiere, dove gli strumenti di utilizzo sono alla portata di tutti, riuscire a far capire quanto la professionalità e la formazione contino è utopia pura. Tutto con la speranza che un giorno ogni fatica potesse finalmente concretizzarsi in un vero contratto di lavoro, che tutto l’impegno potesse finalmente essere ripagato da una qualifica stabile.
E invece.
E invece, con la prima gravidanza è arrivato un benservito grande come una casa, con la motivazione (o giustificazione?) che risorse non c’erano per mantenere il mio posto di lavoro. Sono riuscita per il rotto della cuffia ad elemosinare un assegno di maternità, terminato il quale non ho avuto accesso a nessun altro ammortizzatore sociale, nessuna disoccupazione è dovuta a chi ha contratti precari.
E invece, con un figlio piccolo, praticamente nessuna azienda è disposta a prenderti in considerazione, troppe sarebbero le beghe. Meglio puntare su ragazze nubili (“resta inteso che per i prossimi quattro anni non vogliamo sentir parlare di figli”), se gli uomini non sono disponibili (“sono costretto ad assumere te perché non si sono presentati maschi”). Per non parlare del vero tabù di ogni azienda, del contratto-che-non-deve-essere-nominato, il famigerato part time.
E invece, se per qualche strano caso riesci comunque ad ottenere un incarico, anzi, cercano proprio te per quell’incarico, sarà di nuovo con contratti precari e incertezze all’orizzonte.
Così mi sono trovata alla soglia dei trentun anni con un curriculum di titoli ed esperienze di tutto rispetto il cui valore è equivalente a quello di un rotolo di carta igienica finito.
Qualche tempo fa una persona che stimo, e che con questa frase mi ha inferto una pugnalata mortale, mi ha detto: “Luci potevi essere una grande giornalista, peccato non abbia continuato”. Non è per mia scelta che non l’ho fatto. Lo ha scelto lo Stato, infischiandosi di tutelare veramente i lavoratori e di agevolare le famiglie con servizi realmente utili e fruibili. Lo ha scelto la Società, con la consuetudine di affidarsi amiocuggino per le professioni intellettuali, così risparmio e tanto fa la stessa cosa.
Sono stata costretta a decidere tra cercare una nuova gravidanza, perché nei nostri piani non c’era mai stato un figlio unico, o un lavoro, ben sapendo che, semmai l’avessi trovato, per qualche anno qualunque ipotesi di espansione della nostra famiglia sarebbe dovuta restare ben chiusa in un cassetto.
Non è stata una vera scelta, ma una decisione quasi obbligata. Così adesso c’è un nuovo piccolo cuoricino che da qualche mese ha iniziato a pulsare assieme al mio. Le paure, così come le nausee, sono infinite. Ogni giorno, ogni minuto, mi chiedo se sto facendo la cosa giusta. Se stiamo facendo il bene di Adele, e di questo minuscolo fagiolino, lanciandoci ancora senza paracadute, e con la quasi certezza che se già era difficile prima, ora ogni cosa sarà amplificata, richiedendo sacrifici sempre maggiori, fisici ed economici. Se è giusto per me stessa accantonare tutti i sogni professionali, sapendo che probabilmente non si avvereranno mai più, e che dovrò accontentarmi di un ripiego, quando arriverà l’inevitabile momento di marcare di nuovo un cartellino.
Poi mia figlia dal nulla mi abbraccia e mi stampa un bacione con lo schiocco. Mio marito, mentre sistema la cucina una sera in cui sono fisicamente a pezzi, mi dice che non ho bisogno di nessun corso per la gestione del secondo figlio visto “il lavoro egregio che hai fatto con Adele”. E penso che anche se non ho scelto di essere “solo” moglie e madre, non posso fare altro che svolgere al meglio queste “mansioni”, perché la gratificazione morale non può battere nessuna cifra in calce ad un contratto.
E sì, quel tassello continuerà sempre a mancarmi, forse non riuscirò mai davvero a rinunciare a quella parte di me, ma anche se il mondo mi ha masticato e sputato fuori, io ho trovato gli altri pezzetti di gomma cui attaccarmi con forza per non essere calpestata.
E di sicuro farò tutto ciò che posso per non dover sentirmi dire un giorno “Luci, potevi avere una famiglia fantastica, ma non ce l’hai fatta”.
Non ho scelto di essere “solo” moglie e madre, ma scelgo di essere la moglie e la madre migliore che possa mai essere.
Su questa barca siamo purtroppo in tante, troppe. In bocca al lupo per la gravidanza, vedrai che quando stringerai a te in sala parto quel batuffolo e lo respirerai, molte paure se ne andranno! E in bocca al lupo a noi donne, non dovremmo mai mettere da parte i nostri sogni.
Il tuo post mi ha colpito come un pugno nello stomaco. Ho trovato nelle tue paure, le mie paure. Anche io mi sono sacrificata moltissimo per laurearmi, di gavetta ne ho fatta eccome, sono andata a vivere anche all’estero per realizzarmi professionalmente, ma non ha funzionato. Alla soglia dei 30 anni e all’ennesimo lavoro con un contratto ridicolo mi soni detta: cosa aspetto per fare un figlio? Il lavoro perfetto non è arrivato finora…non penso che arriverà a breve. Ho cercato un bambino e lui è arrivato subito 🙂 domani entro nella 13° settimana, tanti dubbi e paure. Soprattutto la paura di dover mettere da parte per sempre i miei sogni, non per scelta mia, ma del luogo in cui vivo. Mi sento spaccata a metá e temo di rimanerlo per sempre…
Ti auguro anche io di realizzare i tuoi sogni, sicuramente sei una bravissima mamma…in bocca al lupo anche a te per questa seconda gravidanza. Chissà cosa ci aspetta…in fin dei conti abbiamo ‘solo’ 30 anni…pensa quante cose sono cambiate negli ultimi 10 anni. Magari nei prossimi 10 qualcosa di buono accadrà…chissà