Nativi o prigionieri digitali?

Oggi ricorre il Safer Internet Day, la giornata mondiale della sicurezza su Internet (potete leggere di più sul progetto nel sito italiano “Generazioni Connesse“).  Nella settimana in cui cade questo appuntamento, Psiche Digitale, un’ associazione di promozione sociale nata nel 2013 a Cesena il cui scopo è lo studio dell’interazione tra l’individuo e le tecnologie digitali, ha organizzato un festival dedicato ad approfondire queste tematiche. Domani sera si terrà una conferenza aperta alla cittadinanza dal titolo “Non si esce più di casa: il fenomeno dei ritirati sociali”, e nei giorni successivi seminari rivolto a studenti e docenti. Sul sito dell’associazione trovate se vi interessa il programma dettagliato, e soprattutto trovate informazioni relative al corso di educazione alla salute digitale “Fare i genitori nell’era digitale fra smartphone, tablet e altre diavolerie”, in partenza giovedì 7 marzo.

Ieri pomeriggio c’è stata la conferenza di apertura del festival, pensata in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti e la Fondazione Giornalisti dell’Emilia Romagna, attributiva di crediti per la formazione obbligatoria degli iscritti all’albo. Vorrei davvero ringraziare gli organizzatori perché i relatori hanno fornito spunti veramente interessanti sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale, su come la si integra e la si integrerà con l’imperfezione umana e sul concetto stesso di umanità, intesa come caratteristica peculiare dell’essere umano.

L’ho trovata formativa non solo come giornalista, ma anche come mamma che si trova a dover fare i conti con figli per antonomasia nativi digitali. La sfida che ci attende come genitori sarà fornire loro i giusti strumenti per muoversi nel mondo digitale, non tanto tecnologicamente, perché su quello saremo gioco forza perdenti nei loro confronti, piuttosto per quel che riguarda l’approccio alla rete e al suo utilizzo corretto e consapevole. Questo per impedire che diventino prigionieri digitali, imbrigliati in una rete, appunto, di cui non conoscono la composizione e per questo incapaci di tagliarne le maglie laddove gli si avviluppino addosso.

Se il buongiorno, o la buonanotte nel mio caso, si vede dal mattino, devo dire che Adele ha già impartito a me una lezione, dalla saggezza dei suoi quattro anni. Una sera infatti, dopo aver lottato come sempre per l’orario nanna, le avevo intimato di mettere via subito il libro che stava sfogliando a letto, perché era tempo di dormire e perché a letto si doveva andare solo per il riposo e non per altro. Lei mi ha risposto “Ma mamma, tu quando vai a letto guardi sempre il cellulare!”. Mi ha gelato. E mi ha dato l’opportunità di riflettere su miei comportamenti e sull’esempio che offro loro. Noi cerchiamo di tenerli lontani dagli schermi, soprattutto Martino che è molto piccolo, con la sola concessione della tv per i cartoni, rigorosamente a tempo limitato, che si prolunga a volta nei weekend invernali, quando magari guardiamo un film animato tutti insieme (il piccolo unno è al momento molto più interessato ai popcorn…). Non hanno ovviamente accesso né al tablet né ai nostri smartphone da soli, e comunque l’unico uso che ne fanno, assieme a noi, sono le videochiamate al babbo quando viaggia e ai parenti, e l’ascolto di canzoni per bambini. Quando andiamo al ristorante, in caso di noia, hanno i vari kit di emergenza che consistono in colori, mini pista delle macchinine, bamboline varie, carte e simili. Se ci sono con noi altre famiglie con abitudini differenti dalle nostre lascio ovviamente correre e permetto che giochi con gli strumenti tecnologici a disposizione degli altri bambini, ma Adele sa bene che le regole generali sono quelle che stabiliamo noi, e che ogni figlio deve fare ciò che la mamma o il papà decidono per lui. In casa quando si mangia la tv è spenta, e possibilmente anche io e marito teniamo a distanza i telefoni.

Fatte salve queste regole di base, non avevo mai riflettuto veramente, prima dell’episodio di quella sera, su come i nostri figli ci osservano e immagazzinano i comportamenti che abbiamo nei confronti della nostra “protesi” artificiale, dello smartphone. Ho ripensato quindi al rapporto che ho io con il telefono e con i vari device, e benché io non sia certo una novellina digitale, anzi, penso di potermi definire residente e non più immigrata digitale, mi sono resa conto che a volte ne sono schiava, preda di quella strumentalità inversa che hanno ben spiegato ieri. E ho capito che dovrò essere ancora più consapevole dei miei comportamenti per fornire ai bimbi il miglior esempio possibile. Ora prima di entrare sotto le coperte spengo e appoggio lo smartphone, e cerco di controllarlo il meno possibile quando sono con Adele e Martino, riservando ai social e in generale all’aggiornarmi via web il tempo in cui loro stanno già dormendo.

Certo è un percorso in divenire, man mano le loro esigenze tecnologiche aumenteranno, noi dobbiamo solo cercare di accompagnarli nel viaggio senza smarrirci per primi, ma ora so che se dovessi momentaneamente perdermi io, posso contare sulla loro capacità di osservazione e di apprendimento per recuperare la rotta giusta.

 

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