“Mè una roba acsè an l’ho mai vesta”, “Io una cosa del genere non l’ho mai vista”. È la frase che si è sentita più spesso nei giorni post alluvione parlando con i cesenati. Non si riferivano solo al disastro di acqua e fango che ha devastato la città, e di cui video e fotografie, per quanto forti, non rendono tutta la portata. Ma parlavano anche del fiume umano di volontari che ha riempito Cesena, portando speranza dove sembrava non potesse più tornare.
In questo post vi racconterò del lato positivo di questa emergenza, dei volontari che hanno aiutato i cesenati nelle prime ore dopo l’alluvione, e che stanno continuando a prestare le braccia e il cuore. Ve lo racconterò provando a mettere in parole ciò che ho vissuto e visto di persona, mentre mi mettevo a disposizione come chiunque di noi che fosse in grado di muoversi da casa ha fatto.
Già da giovedì, il primo giorno utile per poter fare qualcosa dopo che l’allerta rossa si era placata, migliaia di persone sono scese in strada armate di stivali, pala e volontà di aiutare chi era stato colpito. Ragazzini in bicicletta, bambini, anziani, tutti hanno iniziato sin da subito ad adoperarsi. Non solo per spalare quella maleodorante massa marrone, ma per preparare i pasti sia per chi aveva perso la casa, sia per chi stava aiutando, perché mentre spali e ti rendi conto di cosa sta succedendo, non ti accorgi delle ore che passano e dello stomaco vuoto, ma vuoi solo fare il più possibile per ripristinare una normalità che forse per qualcuno non sarà nemmeno possibile far tornare.
E in tutto ciò l’Amministrazione è stata sempre presente, coordinando velocemente i soccorsi ma soprattutto fornendo un’informazione precisa e puntualissima di cosa stava succedendo, sulle misure cui i cittadini dovevano attenersi per non essere d’intralcio ai mezzi delle forze dell’ordine e sulle modalità per mettersi a disposizione della città.
Sono stati allestiti prontamente centri di raccolta per chi volesse donare beni di qualunque genere: dal cibo, per umani e per animali, ai vestiti, al necessario per pulire, alla cancelleria e via così. I beni donati arrivavano a flusso continuo, sia dai cesenati che da raccolte di altre città. Dopo meno di un’ora dall’avviso di ricerca di un certo bene, lo stesso veniva subito rimosso perchè era già stato raccolto il necessario, e anche di più. E’ stato allestito inoltre un presidio alla Fiera di Cesena, con posti letto per i volontari provenienti da fuori città e fuori regione, che nel weekend volevano fermarsi ad aiutare.
Per poter indirizzare i volontari, garantendo loro anche un minimo di copertura assicurativa, è stata realizzata in collaborazione con i creatori di Rock’in1000 la piattaforma volontarisos.it. Parallelamente sono stati creati dalla società civile diversi gruppi social. Uno dei più frequentati, il gruppo Telegram “Sos Cesena”, diviso per topic (tra cui anche i consigli per pulire al meglio da chi aveva già prestato i primi servizi) e presto utilizzato anche per portare aiuto nelle città colpite nei giorni seguenti. Ma anche sul gruppo Facebook “Sei di Cesena se”, sono state postate continuamente da una parte richieste di aiuto, dall’altra offerte di manovalanza e di beni. Ancora tutti attivi anche mentre sto scrivendo, con offerte regalo di mobili ed elettrodomestici per chi ha perduto tutto, ad esempio il gruppo “Il borsino dell’alluvione”. Sono state create chat Whatsapp tra i ragazzi che si sono auto organizzati, e si sono mossi in autonomia anche tanti gruppi scout, associazioni, squadre sportive. I ragazzi si spostavano, oltre che in bicicletta, anche stipati nei cassoni aperti dei camioncini, come fossero sui carri in una gigantesca parata di solidarietà.
E come in ogni parata, c’era anche lo slogan, nello striscione esposto vicino al Ponte Nuovo e che ha definito nel migliore dei modi chi si è da subito messo a disposizione: “non chiamateci angeli del fango, ma chi burdel de paciug“. Ora il Comune lo ha ritirato dalla rotonda in cui campeggiava, non per rimuoverlo, ma per dargli il tributo che merita.
Sono state infine lanciate tante raccolte fondi in parallelo a quelle organizzate dagli enti pubblici, sia su GoFund che su altre piattaforme, da semplici amici e parenti o anche da artigiani che hanno donato le loro opere.
Ho sperimentato personalmente le diverse forme di aiuto, per rendermi il più utile possibile, e per poter raccontare con cognizione di causa ciò che è avvenuto in queste settimane.
Due giorni dopo l’esondazione, terminato di sistemare i danni fortunatamente non gravi che la pioggia ha provocato in casa nostra, mi sono iscritta alla piattaforma volontarisos.it e, con la pala acquistata nel nivon de dodg, già rodata da un evento estremo, sono salita sulla navetta assieme ai miei compagni di ventura. Della maggior parte di loro non conosco i nomi, ho ascoltato però le loro storie, le più diverse, da chi fa la guida turistica a New York alla mamma che aveva lasciato i figli ai nonni, ma la motivazione per cui ognuno di loro era lì, è la stessa: “ci sono persone che hanno bisogno di aiuto, non posso stare a guardare”.
La navetta ci ha portato presso una famiglia di San Martino in Fiume, la cui cantina era totalmente sommersa, e il cui piano terra era stato devastato dal fango del Savio. Ci siamo divisi i compiti: da una parte chi aiutava a liberare la cantina, dall’altra chi a salvare ciò che poteva essere recuperato. Verso le 13, mentre nessuno di noi, concentrato sul proprio lavoro, aveva minimamente realizzato che fosse ora di pranzo, un furgone si è fermato a fianco della casa.
“Ci sono volontari al lavoro qui?”
“Sì”
“Quanti siete?”
“In 12, perchè?”
“Siamo un ristorante di Cesenatico, abbiamo preparato pasti caldi, eccovi le porzioni per una dozzina di persone”.
Credo che il sapore di quel risotto difficilmente lo scorderò. Così come non dimenticherò il caffè della moka che la proprietaria di casa ci ha portato. “Mi dispiace non aver altro da offrirvi”. Avevano perso tutto, ma stava chiedendo scusa a noi per non poterci accogliere degnamente. Avrei voluto abbracciarla forte, ma quello che ho potuto fare è stato continuare ad insacchettare i suoi ricordi, preservandone dal fango il più possibile. Quando il pulmino è venuto a riprenderci, l’anziana signora ci ha persino chiesto quanto doveva darci per il servizio, non aveva capito fino a quel momento che eravamo stati lì ad aiutarla gratuitamente. Il sorriso commosso e riconoscente che ci ha regalato lo terrò stretto assieme al sapore del risotto.
Di rientro al centro di smistamento, mi sono fermata a sistemare gli scatoloni di stivali che la protezione civile aveva appena consegnato. Ho dato disponibilità per restare lì tutto il giorno seguente, ad aiutare nelle procedure di accoglienza dei volontari, assieme a mio marito che si è offerto di guidare la navetta per accompagnarli ai punti di lavoro.
La mattina del sabato alle 8 eravamo già operativi al centro, e alle 8:15 sono arrivati i volontari. Tra i primi ragazzi caricati sul pulmino, un accento era diverso. Veniva da Perugia, e quando mio marito lo ha ringraziato per essere venuto ad aiutare, la risposta è stata: “voi romagnoli siete incredibili. Veniamo qua ad aiutare e finisce che siete voi a dare forza a noi. Quando avete un problema ci ragionate sopra e iniziate a risolverlo, senza stare a piangervi addosso. Tra l’altro sempre con la battuta pronta in tasca anche in un momento difficile. Abbiamo avuto il Covid, ma è il virus della romagnolità che sarebbe da esportare nel mondo”.
Le dodici ore che abbiamo trascorso io al centro e lui sulla navetta, per quanto intense, sono passate in un momento, e ad ogni minuto il cuore si allargava sempre un po’ di più. Quando la signora del condominio di fianco si presentava con thermos di caffè e the, quando i volontari arrivavano loro con vassoi di pasticcini, prima di infilarsi la tuta da lavoro, quando entravano persone a regalare pale e tira-acqua, quando qualcuna veniva ad offrirsi di lavare i vestiti degli alluvionati. L’amico giornalista che, invece di sedersi alla scrivania, ha scelto il sedile del trattore, ed è rientrato completamente coperto di marrone. Le signore della parrocchia che hanno cucinato più di 500 pasti da portare ai volontari e che a fine giornata, esauste, hanno comunque messo su un pentolone di sugo per i giorni seguenti, “che se poi non serve al massimo lo congeliamo”. Le mamme del quartiere, che si sono offerte per tenere i bambini di chi era impegnato a spalare, e chi metteva a disposizione una doccia calda o un posto letto. Le famiglie che sono venute ad aiutare insieme ai figli, con i personaggi dei cartoni animati sugli stivaletti nascosti da uno strato di beige.
In quella settimana dormire è stato impossibile, troppi i pensieri. E così trascorrevo l’inizio di nottata a recuperare le trasmissioni televisive che parlavano di Cesena e della Romagna, e a scorrere i feed social per assicurarmi che tutte le persone che conosco stessero bene o per capire se c’era qualcosa che potevo fare per loro, perchè durante il giorno lo smartphone era relegato nel sacchetto impermeabile. Non ho scattato nemmeno una foto di quei giorni, le mani erano troppo preziose per fare altro che non fosse metterle a disposizione. Ma le notti osservavo gli scatti degli altri, e in ogni immagine vedevo quello che i miei occhi avevano già registrato indelebilmente. I futuri sposi che hanno trascorso l’addio al celibato spalando fango, i cori di Romagna Mia, i valzer improvvisati nell’acqua melmosa, i punti di ristoro allestiti sotto i gazebo con la piadina che, immancabile, cuoceva sulle piastre. Quella piadina che sa scaldare le pance e i cuori, quella stessa piadina che è stata consegnata in un sacchetto di carta anche alla Presidente della Commissione Europea, in visita a Cesena per portare la soliderietà dell’Europa.
Una delle immagini che mi ha ferito maggiormente è stata la montagna di libri irrecuperabili accatastata fuori dalla sede del Ponte Vecchio, resa totalmente inagibile dall’esondazione. Il Ponte Vecchio è parte sostanziale della cultura della città, e pensare che potesse fermarsi per sempre è stato straziante. Ma anche per loro è arrivata un’ ondata di solidarietà, dagli autori e dai lettori, e stanno già ripartendo, con un volume proprio sull’alluvione, presto in stampa.
Il lunedì sono stata poi ad aiutare nel porzionamento dei pasti al centro di raccolta Don Milani, che nei giorni successivi è stato raggiunto da tante personalità, persino dal Presidente della Repubblica. Nelle cinque ore in cui sono stata lì, sono passate centinaia di persone, nonostante fosse un giorno lavorativo. Chi a portare beni, chi a offrirsi di consegnare i pasti. Ad un certo punto è arrivato il Sindaco, che è stato accolto come una rockstar, tra gli applausi e le signore in cucina che si mettevano in fila per una foto e per autografare una pettorina catarifrangente da regalargli. Credo che il segno più evidente dell’enorme lavoro che hanno fatto lui e la sua squadra, siano le occhiaie stampate sul volto di Lattuca, sempre più profonde ad ogni giorno che passava, evidenti a chiunque guardi i servizi memorizzati sui siti delle varie testate.
Gli episodi degni di essere raccontati sarebbero ancora tanti, le frasi che ho ascoltato, gli abbracci di cui sono stata testimone. Tutti con un comune denominatore, il senso di comunità.
Il secondo weekend post alluvione, di nuovo tantissime persone si sono messe a disposizione, ma la città aveva già assunto un aspetto diverso rispetto alla devastazione del sabato prima. Le ferite pubbliche – il fango e i detriti sulle strade, erano già state curate. Per le ferite private -le case e le attività distrutte, una stima precisa dei danni non è ancora possibile, né si può quantificare il tempo che servirà al ripristino, ma di una cosa sono certa dopo quello che ho visto.
Fuori dal paciugo usciremo tutti insieme, senza lasciare immerso nessuno.