Sono già passate due settimane… mi sembra trascorso un solo secondo da quando mi dondolavo in sala parto appoggiata a Luca per affrontare le contrazioni. E invece sono già quattordici giorni che la ranocchietta è con noi.
Prima che i ricordi si affievoliscano (non il ricordo del dolore, perché dubito che quello lo dimenticherò mai, non so come facciano le altre mamme a sostenere che non lo rammentano… forse è più una rimozione per autotutelarsi in vista dei secondi figli), è bene mettere bit su bit tutti i dettagli di quell’ incredibile giornata.
La sera di mercoledì 8 ottobre osservavo una splendida luna piena dal terrazzo del mio appartamento e la raccontavo ad Adele, dicendole che avrebbe potuto vederla se avesse deciso di uscire. Sono andata a dormire senza nessun sintomo, convinta che avrebbero dovuto indurmi il parto allo scadere del termine dato che lei non voleva palesarsi. Così non è stato, forse ha sentito davvero il richiamo della luna, perché alle tre e mezza della notte mi sono svegliata di soprassalto per una contrazione.
Sono andata in bagno e ho notato alcune perdite ematiche, per cui, come da insegnamenti, ho chiamato il pronto soccorso ostetrico per capire cosa sarebbe stato meglio fare. L’ostetrica mi ha detto di andare in ospedale per un controllo perchè telefonicamente non ero valutabile, così alle quattro e mezza eravamo al Bufalini e alle cinque mi hanno visitato.
Il travaglio attivo non era ancora partito però c’erano tutti i presupposti perchè iniziasse a breve: il mio collo uterino era pronto, anche se non ancora dilatato, e le contrazioni iniziavano a farsi più regolari. Le operatrici erano indecise se ricoverarmi direttamente o mandarmi a casa, così abbiamo deciso io e Luca. Abbiamo scelto di tornare al nido, come ci era stato consigliato ai vari corsi. Affrontare la fase iniziale del travaglio a casa è ben diverso che farlo in una stanza d’ospedale, con altre persone, senza le proprie comodità e soprattutto senza vera libertà. Alle sei ero già sotto la mia doccia, seduta su una sedia col doccino diretto alla pancia. In poche ore le contrazioni sono aumentate, si sono regolarizzate sia per durata che per distanza l’una dall’ altra. Luca, efficientissimo, mi cronometrava mentre io lo avvisavo con “Arriva” e “E’ passata”. Alle nove erano di 40 secondi circa a distanza di 3-4 minuti… era giunto il momento di tornare in ospedale!
Questa volta nessun dubbio, ero dilatata già di 4 cm, quindi mi hanno spedito diretta in sala parto, nella “Giglio”, senza nemmeno passare per la camera a depositare la valigia. Dopo circa un’ora e mezza ho chiesto l’analgesia, non sapendo quanto poteva durare il travaglio ho scelto di farla per riprendere un po’ di energie in vista della fase espulsiva, che poteva essere piuttosto lunga, essendo io primipara. L’epidurale è una vera manna dal cielo, trasforma il fortissimo dolore delle contrazioni in un fastidio tollerabilissimo. Nel mio caso non ho avvertito nemmeno formicolii, avevo piena padronanza del corpo, nessuna parte insensibilizzata e non ho nemmeno sentito l’inserimento dell’ago, l’anestesista è stato magnifico. Poi quando sono arrivata a circa 7-8 cm di dilatazione l’ostetrica mi ha rotto le acque. Anche in questo caso non si avverte nulla, solo un fiotto di liquido caldo che scende. Verso l’una e un quarto la mia dilatazione era ormai completa, c’era solo una piccola parte che ostruiva il canale e l’ostetrica mi ha perciò praticato una manovra per aprire del tutto.
Di lì a poco, alle due, ci sarebbe stato il cambio turno del personale e mio marito scherzando ha detto all’ostetrica “Va a finire che ti facciamo fare lo straordinario”. In realtà nè lui nè lei ci credevano realmente e invece… la ranocchietta ha deciso di regalarle davvero del lavoro in più. Elena, così si chiama la meravigliosa operatrice che ci ha assistito, mi aveva detto che a breve avrei avvertito la necessità di spingere ma che non dovevo farlo perchè ancora non ero pronta e che solo in caso di impossibilità a non farlo avrei dovuto dirglielo. Io non riuscivo proprio a non spingere, era un bisogno impellente, inarrestabile. Lei, quasi incredula, ha controllato e in effetti ero pronta. Da quel momento ho chiuso gli occhi e non so cosa sia successo attorno a me, sentivo voci lontane che mi dicevano cosa fare e che tra loro si dividevano i compiti ma io ero troppo concentrata sul dolore incredibile che mi stava divorando per rispondere.
Non ero preparata a vivere una sensazione così forte. Il travaglio era andato esattamente come pensavo, le contrazioni procurano notevole sofferenza ma me lo aspettavo. La fase espulsiva era invece un mistero, nessuno me ne aveva mai parlato, né avevo letto nulla in proposito. In quel momento ho creduto di morire, mi sembrava che mi stessero sparando nell’inguine con una lanciafiamme per quanto mi bruciava, come essere risucchiati all’inferno. Dalla prima spinta alla nascita di Adele sono passati pochissimi minuti, meno di un quarto d’ora, è stata velocissima, ma per me il tempo si era dilatato. In quei momenti non capisci nulla. Non ho nemmeno registrato che Luca mi teneva le gambe, me lo ha detto dopo. Quando ho detto “Non ce la faccio più”, Adele era praticamente nata, la testa era già fuori e alla spinta successiva è uscito tutto il corpo. Ho sentito il suo pianto ancora ad occhi chiusi, mentre stavo tornando anche io alla vita. La cosa pazzesca è che di tutto quel dolore sovrumano, dopo poco non è rimasto più nulla. E così ho aperto gli occhi, e l’ho accolta tra le mie braccia, sulla mia pancia. E con lei sono nati anche una mamma e un papà. Non ho pianto, forse non avevo più forze per farlo, ma l’ho tenuta al calduccio lì con me, fissandola ancora senza realizzare veramente cos’era appena successo. Non sapevo come sarebbe stata, se mi sarei innamorata all’istante. E invece era già bellissima, perfetta. Un vero piccolo miracolo.
Le due ore successive in sala parto sono volate. Ho avuto qualche problema al momento dei punti di sutura, per fortuna pochissimi, ma niente che un po’ di anestesia non abbia risolto. Ho provato ad attaccarla al seno, come vedete in foto (notare la mia faccia stremata ma felice…) per iniziare a stimolare la produzione di latte. Dell’allattamento parlerò nel dettaglio in un prossimo post, e lo stesso dei giorni in ospedale. Poi finalmente ci hanno spostato in camera, l’avventura era iniziata!
Non dimenticherò mai, ne sono certa, tutte le emozioni e le sensazioni vissute quel giorno, gli occhi lucidi di Luca i primi istanti di vita di Adele. Non posso che essere estremamente soddisfatta della mia esperienza di parto, dei tempi, dello sviluppo, della professionalità del personale che mi ha assistito, e nonostante non mi aspettassi un dolore così forte, ora so che si può affrontare. E senza dubbio mi basta posare lo sguardo sulla ranocchietta per dire che sì, ne vale assolutamente la pena.
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